Selfie ai funerali come strumento di elaborazione del lutto?

 

L’elaborazione del lutto è quel “lavoro” che noi tutti (anche se in modi e in tempi più o meno differenti) compiamo nel momento in cui perdiamo una persona cara. La finalità di questo processo è quella di accettare la morte della persona cara, permettendosi di ricordare i bei momenti passati insieme convivendo con il dolore della perdita e instaurando un nuovo equilibrio psichico che sia caratterizzato da elementi di crescita. 

Tale processo si articola in 5 diverse fasi (Kübler-Ross, 1969; Holland e Neimeyer, 2010), lungo le quali si suppone procederebbero i sentimenti e le reazioni di dolore causate dalla perdita di una persona amata:

  1. negazione e/o incredulità;
  2. desiderio;
  3. rabbia;
  4. depressione/patteggiamento;
  5. accettazione.

 

Negli ultimi anni, con l’avvento dei social media, si è potuto notare l’emersione di un nuovo fenomeno, sopratutto tra i giovani: i selfie ai funerali, non mancanti di #hastag dedicati.

 

Tale tendenza è esplosa nel 2016, con numerosi selfie non solo ai funerali, ma anche nelle camere ardenti ed accanto alle bare. Non manca all’appello, inoltre, la trasmissione in live streaming della cerimonia funebre.

Già verso la fine dell’ ‘800 era possibile assistere al “rito” della fotografia post mortem. Essa veniva, però, scattata per poter conservare un ricordo del defunto (la cui salma, per l’occasione, veniva truccata e rappresentata come se fosse viva) del quale sovente non vi erano altre fotografie o ritratti eseguiti in vita. In tale cornice, la fotografia post mortem assumeva un significato di commemorazione del defunto, un suo eterno ricordo (Ziccardi, 2017).

 

Nella cultura odierna, invece, sembrerebbe che questo fenomeno sia poco riconducibile alla commemorazione del defunto, sebbene sia ciò che viene riferito dalla maggioranza dei proprietari degli scatti.

Il motivo alla base di tali selfie, infatti, sarebbe riconducibile innanzitutto al bisogno e al desiderio di condivisione di un momento, di comunicare “ecco cosa sto facendo”, “ecco come sto” (Ziccardi, 2017)

E su questa volontà di condividere ed esibire le proprie esperienze, Giovanni Ziccardi ci porta un chiaro esempio: “Per quale motivo […] si fotografa la Gioconda al Louvre quando il negozio di souvenir del museo ha in vendita a poco prezzo riproduzioni perfette che saranno sempre molto meglio della nostra fotografia scattata con un cellulare in condizioni instabili e da dietro un vetro? 

Perché non è la foto del quadro che è importante, ma è la condivisione dell'esperienza. Non si celebra il quadro, si afferma e condivide il fatto di essere lì e di averlo visto, anche tramite una foto di qualità scadente che, però, svolge egregiamente la sua funzione di comunicare qualcosa alla propria cerchia di amici nell'ambiente dei socia al network.(Ziccardi, 2017, pp. 147)

 

Così, ecco che ci si trova dinnanzi ad un nuovo modo di coltivare il rito di saluto ai defunti. Accanto alla maggior parte degli adulti che ritengono i social network un “non-luogo” inappropriato per discutere e celebrare la morte, infatti, troviamo la popolazione adolescente e giovane adulta, per la quale è normale (e doveroso) rispettare sempre la regola implicita dei social: “condividi tutto”.

Per i ragazzi può quindi essere normale non solo twittare le condoglianze, esprimere, rappresentare e raccontare la propria tristezza ed il proprio dolore su Instagram o Facebook, ma anche condividere un momento così doloroso con la propria rete di amici social.

Tale aspetto potrebbe rivestire un ruolo molto importante nei rituali di elaborazione del lutto oltre che nella percezione del supporto sociale, in quanto potenzialmente permette di ricevere del sostegno e conforto anche a persone che nella vita offline non godono di un buon supporto sociale. Anche se il video o la foto, una volta pubblicati, finiscono nel marasma di contenuti e commenti pubblicati dagli amici, aventi certamente diverso tenore (Ziccardi, 2017).

 

Quale può essere, secondo voi, la funzione di questa nuova tendenza?

 

Secondo Ziccardi (2017), sono almeno 7 i motivi alla base di questo nuovo modo di relazionarsi con la morte:

  1. Empatia: lo scatto ha lo scopo di far ottenere compassione, comprensione, empatia; 
  2. Normalità: lo si fa perchè “è normale condividere tutto”;
  3. Ricordo: lo scatto assume effettivamente un valore di commemorazione e onorificenza del defunto;
  4. Noia: quanto spesso capita di scattare selfie perchè si è annoiati?
  5. Insensibilità;
  6. Humor;
  7. Distrazione: in tal senso, il selfie assumerebbe il ruolo di “meccanismo di difesa” dal dolore del lutto, un modo per sfuggire all’ansia, al dolore, alla tristezza, alla disperazione e allo smarrimento. Gli eventi luttuosi portano con sé un aspetto che noi esseri umani poco amiamo: lo stravolgimento della nostra quotidianità e normalità. E proprio condividere una selfie -atto ormai normale nella nostra cultura- può essere un tentativo di ripristinare proprio quella normalità andata perduta con la persona amata. 

 

A mio avviso, quindi, iniziare a chiedersi che impatto hanno i social network (o meglio, il loro utilizzo, oltre che il ruolo che essi hanno nella nostra società) nel lavoro di elaborazione del lutto e nei riti -fondamentali- caratteristici di un evento luttuoso.

 

E voi che ne pensate?

 

 

dott.ssa Giorgia Salvagno

 

Bibliografia:

Holland J. M., Neimeyer R. A. (2010), An examination of stage theory of grief among individuals bereaved by natural and violent causes: A meaning orientated contribution. “Omega: Journal of Death and Dying”, n. 61(2), pp. 103-120;

Kubler-Ross E. (1969), La morte e il morire. Cittadella Editore;

 

Salvagno G. (2013), Il lutto di una persona amata: lutto complicato, sintomi depressivi e cambiamenti diagnostici. Tesi di laurea; 

 

 

Ziccardi G. (2017), Il libro digitale dei morti. UTET.